“Da quel silenzio ci intenderemo”

da quel silenzio ci intenderemo

“Verrà il giorno in cui ascolteremo solo il silenzio fra una parola e l’altra, e da quel silenzio ci intenderemo”. Questa frase di Salvatore Brizzi ha acceso una scintilla appena l’ho letta.

Mi ha dato uno spunto su cui riflettere. Ho iniziato ad ascoltarmi e a osservare cosa stava suscitando in me. Ho sentito subito un senso di quiete, una speranza, uno stimolo a ricordarmi di me.

Ho una personalità tendente all’introspezione. Dunque si può dire che il silenzio è la mia dimensione.

Ma per molte persone che conosco, è fonte di disagio. Io stessa sperimento questo disagio molte volte.

Il silenzio diventa un peso, un elefante in mezzo alla stanza che bisogna assolutamente far scomparire.

E allora bisogna trovare qualcosa da dire, perché il silenzio tra due persone non è socialmente accettato.

Non riusciamo a stare nell’emozione del disagio e dell’imbarazzo che ci crea.

Quante volte parliamo solo per versare il vuoto nel nulla? (Gurdjieff utilizzava questa espressione, molto efficace direi)
Per poi restare con addosso la sensazione di essere rimasti sulla superficie e di non essersi scambiati nulla di significativo. Le parole non riescono ad essere il veicolo efficace per mettere in reale comunicazione due o più anime.

“Da quel silenzio ci intenderemo”. Ancora sento di non aver colto appieno il significato di questa frase.

So che nel silenzio ci può essere una vibrazione non rilevabile dai soliti cinque sensi, tuttavia permette di accordare i corpi sottili delle persone.

La forma delle parole ci distrae dal contenuto.

E per contenuto intendo la vibrazione dell’informazione che immettiamo nel campo.

Il silenzio sarà veramente carico di significato quando due anime che lavorano su di sé si incontreranno per davvero, senza percepirsi come estranee o divise.

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